dopo tanto silenzio…

sono passati mesi, anni a dire il vero, è passato tantissimo tempo. Sono successe molte cose belle, brutte, neutre. Ho cambiato casa, ampliato la famiglia, aumentata la marcia sul lavoro. Divento più vecchia e con l’età aumenta l’intolleranza verso ingiustizie, abusi e (anche) incompetenze. Il mio lavoro lo svolgo da tantissimi anni e in questi anni ho conosciuto molte persone legate al mio lavoro, davvero tante, chi più chi meno competente ma nel complesso direi che non ho mai avuto grossi problemi. Fino a una decina di anni fa. Poi, come un salto nel buio. Aumentano i titoli di studio ma diminuisce la competenza e, soprattutto, la capacità e la volontà di ascoltare, capire, imparare. E’ come se quel “pezzo di carta” conferisse il sapere automaticamente e a 360 gradi. E’ deprimente. Entro in un ufficio tecnico, stiamo sul generico, dove dovrei ricevere indicazioni precise su cosa e come fare una certa pratica. Bene, io non ho mai preteso risposte immediate sulle informazioni che richiedo, ma non voglio nemmeno ricevere indicazioni sbagliate. Io ho questo pensiero, ed è anche esattamente come mi comporto io con clienti. Ascolto, penso, rispondo. Non sono sicura della mia risposta? ho dei dubbi sulla procedura? chiedo al cliente di darmi un attimo di tempo per confrontarmi con colleghi o per controllare le normative. E invece no. Rispondono subito, rispondono per sentito dire, rispondono per intuizione o convinzione. E rispondono con tono sicuro e incontrovertibile. E il più della metà delle volte è una risposta sbagliata. Questo mi fa incazzare veramente veramente tanto.

PLATAV….amore mio

La tecnologia semplifica la vita. Ce lo hanno spiegato e ripetuto all’infinito prima ancora che questa diventasse parte integrale della nostra esistenza.

E ce lo ripetiamo anche da noi, mentre seduti comodamente alla nostra scrivania paghiamo le nostre bollette, prenotiamo i nostri viaggi, comunichiamo con un amico lontano semplicemente con pochi click del mouse.

E io sono la prima a sostenerlo. La tecnologia ha veramente semplificato e diciamolo pure, alleggerito e velocizzato molte delle mie mansioni.

Oggi se devo partire apro la pagina di trenitalia e mi consulto l’intera offerta, così, in base alle occasioni che sono disponibili, posso scegliere se partire di lunedì o giovedì. Ho verificato che questo è l’unico modo per risparmiare. Andando allo sportello in stazione non avrete la possibilità di sapere cosa conviene perchè l’operatore che effettua la tua prenotazione consulta i dati che gli vengono proposti a video e nella maggior parte dei casi non ti verrà proposto altro che un biglietto a tariffa base.

Da casa puoi studiarti combinazioni ad hoc. E risparmiare.bracciale

L’ultima volta che ho preso un treno, il mese scorso, ho pagato la prima classe di una frecciarossa meno di un biglietto scontato di seconda classe! Tramite la ricerca su internet ho trovato la casa vacanza dei miei sogni, ho recuperato un libro fuori catalogo da oltre venti anni, ho ritrovato amici che da trent’anni vivono negli stati uniti e in cina.

La tecnologia ha di fatto migliorato la vita.

Ma, e c’è sempre un ma, c’è chi è riuscito attraverso l’introduzione del supporto tecnologico a complicare tutte le procedure, a renderle più contorte, ritorte, convulse, in poche parole assurde. Esempio? La posta. Prima andavi allo sportello, compilavi la tua ricevutina della raccomandata, la signorina prendeva il foglietto, ci stampava sopra il bel timbro rotondo delle poste, staccava la parte copiativa che riponeva in un casellario e ti consegnava l’originale . Fatto. Adesso funziona così: compili la ricevuta, la consegni, la signorina ci passa il lettore di codici a barre, inserisce il foglietto nella stampate, digita i dati di mittente e destinatario, stampa il “timbro” sulla ricevuta, stacca il codice a barre adesivo, lo appiccica sulla tua busta, stacca la copiativa, ti consegna l’originale. Tu prendi il tuo foglietto e vai. Lei riprende la tastiera e scrive ciò che ha fatto, perchè l’azienda vuole sapere quanto impiega a compiere le operazioni. Allucinante. In pratica nello stesso tempo che impieghi oggi a fare una la raccomandata, prima ne facevi cinque. Efficienza tecnologica. Ma non è colpa della tecnologia, ma di chi nella tecnologia ha voluto inserire tutta la parte burocratica, quella parte di burocrazia inutile e fastidiosa, che al contrario e per antonomasia la tecnologia dovrebbe abbattere.

Mi sono sempre chiesta coma mai da una parte c’è chi studia come semplificare, alleggerire, velocizzare ogni azione e dall’altra chi la tecnologia la vede esclusivamente come belletto per rendere solo più scenografico l’ambiente. E’ anche vero che il giudizio che si da d’impatto ad un posto di lavoro è determinato dalla quantità di monitor.

Eppure non ci vorrebbe molto. Basterebbe avere più elasticità e soprattutto comunicazione con chi il lavoro lo svolge praticamente.

Qualche anno fa, durante un periodo di collaborazione con un ente provinciale, mi sono imbattuta in un classico esempio di inutilità. La gestione immobiliare dell’ente era affidata ad un database preistorico, girava ancora sotto dos, per farsi un’idea. Dovevo inserire i dati immobiliari, ovvero dati catastali , tavolari e amministrativi. Era alquanto lento e macchinoso come poteva essere un database ideato e pensato all’inizio degli anni ottanta. Ogni unità immobiliare ti portava via sette minuti. Era necessario assolutamente ripensare ad un programma flessibile, dinamico, consultabile e utilizzabile da ogni settore dell’azienda, anche non tecnico. Fu incaricata una grossa ditta austriaca per l’elaborazione di questo nuovo programma. Cosa accadde: che la ditta fece tutto il lavoro e una mattina ci trovammo il nuovo programma già installato e operativo. Ci bastarono venti secondi per capire che era lontano anni luce da quello che avevamo in mente. Alla riunione dissi senza mezze parole che era stato tutto un lavoro inutile. Il nuovo database era stato elaborato chiaramente da chi non conosceva il lavoro specifico, non sapeva quali fossero i dati indispensabili da inserire, in poche parole era stato un inutile spreco di tempo e denaro. E questo perchè? Semplicemente perchè a nessuno era passato per l’anticamera del cervello di riunire il personale e fare queste semplici domande: “come vorreste fosse il nuovo database? Quali funzioni dovrà avere? Quali e quanti dati dovrà contenere?” Semplicemente quello che non era stato fatto.

Tutto questo bell’esempio per arrivare a noi, geometri, piantapaletti, misuraterra ecc ecc come ci chiamano. Ecco, la categoria di professionisti che forse più di altri era abituata a lavorare “di mano” e che la tecnologia l’ha sempre guardata con una certa diffidenza. Con le debite eccezioni, tipo la sottoscritta che non vedeva l’ora di buttare rapidograph nel cestino e abolire lamette, e soprattutto lucidi, radex, controlucidi e compagnia bella!

Si, però anche qui, dipende. Dipende se davvero mi semplifica la vita. Per ora l’ha fatto. Per ora, anzi no, non più. Da un po’ di tempo quando devo affrontare un certo tipo di lavoro mi faccio prendere dalla svogliatezza, del tipo che mi siedo al computer, apro il lavoro, lo guardo, mi viene un piccolo crampo alla bocca dello stomaco, mi alzo e vado al frigo, tiro fuori quel che trovo e me lo ingoio, torno alla scrivania, riguardo il lavoro, mi giro e cerco una caramella…poi mi alzo e vado in bagno, ritorno e riguardo il lavoro..prendo il telefono e chiamo la mia collega e mi sfogo. A volte mi sveglio all’alba e penso a quel lavoro e mi immagino di averlo già finito così sto meglio.

Qual’è questo incubo? La divisione in porzioni materiali.

Ogni volta che apro il disegno e lo guardo mi domando chi, come, perchè lo ha fatto.

Mi domando il perchè di maschere, colori strani, tutto unica penna, sovrapposizioni…attenta che non ha cambiato layer alla scritta, attenta che il file gif che hai caricato, ricalcato e cancellato deve essere anche smontato, occhio che stai facendo lo stato finale e devi mascherare…cavolo che incubo! Adesso maschero, va bene. Ma perchè devo mascherare? Non basterebbe congelare un layer? Oppure più semplice …tasto attiva/disattiva, presente/variazione/finale…faccio tre disegni, cioè ne faccio uno, lo chiamo Antonio, poi lo ricopio e ci faccio il mio bel rosso, lo chiamo Giuseppe, e poi ricopio e lo trasformo in Giovanni, stato finale. Un tastino clicco e viene Antonio, riclicco e viene Giuseppe e poi di nuovo clicco e viene Giovanni…semplice anche per chi di computer ne mastica poco. Invece no. Un programma che monta il tuo disegno ma non riconosce nessun altro formato se non quello che vuole lui. Che ti blocca tutto perchè c’è una E su un piano sbagliato, che dopo che lo hai perfettamente ricontrollato e a lui va tutto improvvisamente bene, ti accorgi che la scala è sbagliata, ma lui, che ha visto la E sul piano sbagliato, non vede che il tuo disegno non è al 200 ma al 2000…mistero, veramente mistero.

Ma cosa dobbiamo espiare?

Quale sarà stato il nostro peccato nelle vite precedenti? Mi immagino di essere stata una carogna con frustino che picchiava una sfilza di programmatori chini 24 ore su 24 sui loro computer…mah… me lo chiedo ogni volta che apro un disegno per la divisione in porzioni materiali.

Non sono una programmatrice, però nella mia testa appare così semplice una divisione in p.m. tecnologica e leggera.

Ma parto dall’origine: la digitalizzazione, scansione e ogni cosa che è stata fatta alle vecchie planimetrie è stato un lavoro assurdo. Ci sono voluti anni, lo stesso tempo che sarebbe servito a ridisegnare tutto lo stato attuale delle planimetrie tavolari e catastali. Quanti tecnici ci sono in Trentino Alto Adige? Si prendevano tutti. Ad ognuno un numero di lavori proporzionalmente alle possibilità. E venivano ridisegnati tutti in dwg. Esempio?

Mi vengono consegnati i disegni dell’edificio X che ha una serie di variazioni effettuate nel corso degli anni. Lo scansiono e lo ridisegno semplicemente applicando tutte le variazioni come stato attuale. Avrò una planimetria nuova con lo stato attuale alla data dell’ultima variazione . Riconsegno il mio dwg insieme alla scansione dell’originale che rimane come archivio storico per la consultazione dei vari passaggi.

Domani devo fare una variazione? Bene. Prendo il dwg al tavolare o al catasto, lo modifico con il mio rosso e lo riconsegno. Il mio stato finale diventa attuale e la mia variazione va nello storico. Sarebbe una pacchia. Sicuramente il lavoro iniziale sarebbe stato enorme, ma perchè, la scansione di tutte le planimetrie non lo è stato? E il risultato? Al catasto si ritrovano con planimetrie fuori scala, al tavolare con una qualità che a volte fa letteralmente schifo. E il costo dell’intervento non è stato certo minore del costo che avrebbe avuto la mia idea.

Ma torniamo al mio incubo.

Ho sempre affrontato le innovazioni con un certo entusiasmo, adoro il computer, adoro la tecnologia, pur non essendo il tipo che appena esce una novità se la piglia, anzi, aspetta che la novità passi la sua fase beta e sia verificata, stabilizzata e ufficializzata. Imparo velocemente tutto quello che è legato al computer, come ho imparato da sola ad usarlo, a maneggiare con autocad quando ancora il 90% aveva ancora il tavolo la disegno, autocad su dos, poi archicad con mac, e via via ogni cosa che usciva di nuovo l’assimilavo e in breve tempo me ne impossessavo. Pensandoci è stato così perfino con il docfa, altra pessima invenzione, ma in fin dei conti si tratta semplicemente di montare una immagine all’interno di un programma. Ho socializzato presto con photoshop, con premiere e prima ancora con i vari pinnacle, che di certo sono molto più complessi di un platav….ma non è la complessità che mi sconvolge e mi blocca. E’ la mancanza di logica, di praticità, di efficienza.

Forse qualcuno si emoziona al pensiero che con un click compaiono, come una magia, i vari stati del disegno e solo quelli, ma questo in realtà è un fatto banale. Basta programmare la congelazione dei vari layer ed è ovvio che questo accada, anche senza platav. E’ la strada da percorrere per arrivare a quello stadio che mi sconvolge. Non voglio mica essere cattiva, no. Solo pratica, razionale e onesta. Cosa vogliamo da un platav? Che carichi un disegno e se lo gestisca senza troppe storie. Ma ormai è fatto, fatto e concluso. Dobbiamo convivere a forza con questo incubo? Dobbiamo per forza muoverci tra file immagine di pessima qualità impossibili da utilizzare e fasi obbligate da seguire come un percorso ad ostacoli durante il quale inevitabilmente ci si inciampa almeno una volta? Finora mi sono capitati solo disegni che ho dovuto ridisegnare da zero. Sarò sfortunata ma non penso di essere l’unica. L’ultimo, quello che continuo a rimandare giorno dopo giorno, è un edificio di dodici piani. La modifica da eseguire interessa solo una piccola parte del piano terra, ma devo presentarlo interamente. File gif improponibile. Devo ridisegnarlo da zero. E chi paga? “gentile cliente, per la variazione del suo locale ci vogliono una paio di mille euro solo per la divisione in p.m.”

Risultato?

Torniamo a chi pensa, decide e realizza per noi. Vogliamo incentivare l’abuso? Vogliamo essere causa di nuove evasioni? Perchè introdurre l’obbligo a presentare tutto l’edificio con le parti comuni, se non viene toccato altro che una unità e solo al suo interno? Quanti sono disposti a pagare un simile intervento che alla fine costa più delle variazioni che ha eseguito? Cosa serve informatizzare un sistema se poi questo si trasforma in uno più contorto, difficile, macchinoso e esoso di prima? Se l’edificio è inserito in un sistema informatico, basterebbero solo integrazioni alle varie parti modificate. Presento la mia variazione, esclusivamente l’unità che vario, nella stessa scala di quello depositato. Il sistema lo carica e da solo lo monta al posto giusto, sia nel piano di variazione che in quello finale, mascherando da solo la parte che viene soprascritta. Fantascienza? Non credo proprio. Ci sono programmi che fanno ben altro e di molto più complesso. Lo vedo quando faccio fotomontaggi e ritocchi fotografici, quello che riesce a fare un programma. Ciliegina sulla torta? La domanda vera e propria, quella in cui si spiega cosa si va a variare, quella dove scrivevamo “all’Ill.mo giudice tavolare di..”, ecco, quella. Come si allega al platav? Non si allega. Si scrivere, si stampa e si consegna a mano. E quindi? Un ibrido, mezza tecnologia. Ci voleva tanto a prevedere l’importazione di un pdf?

E alla fine mi convinco sempre di più di una cosa. Chi ha pensato al platav non lo usa.

Pubblicato  su “Prospettive Geometri” nr. 6/2012

(ringrazio i  tanti colleghi che si sono precipitati a complimentarsi con la sottoscritta)

ISCHIA FILM FESTIVAL

IL METODO DEL COCCODRILLO

La Morte arriva sul binario tre alle otto e quattordici, con sette minuti di ritardo. Si confonde tra i pendolari, sballottata da zaini e cartelle, da trolley e valigie che non sentono il suo alito freddo. La Morte cammina incerta, difendendo se stessa dalla fretta altrui. Adesso è nella grande sala della stazione, tra urla di ragazzini e odore di cornetti scongelati. Si guarda attorno, si asciuga una lacrima sotto la lente sinistra con un gesto rapido, e il fazzoletto torna nel taschino della giacca. Individua l’uscita dal rumore e dal flusso della gente, in mezzo a tutti i negozi nuovi. Non riconosce il posto, del resto tutto è cambiato in tanti anni. Ha preparato ogni cosa, per filo e per segno, e questa ricerca dell’uscita sarà l’unico attimo di incertezza. Nessuno la vede. Gli occhi di un ragazzo appoggiato a un pilastro a fumare le scivolano addosso come fosse trasparente. È uno sguardo clinico: niente da prendere, le scarpe consumate e il vestito fuori moda raccontano quanto le lenti fotocromatiche e la cravatta scura. Gli occhi passano oltre, e si fermano sulla borsa aperta di una signora che parla al cellulare gesticolando frenetica. Nessun altro vede la Morte che passa insicura per l’androne della stazione. Adesso è all’aperto. Umido, odore di gas. Ha appena smesso di piovere, il marciapiede è scivoloso di fanghiglia.

MAURIZIO DE GIOVANNI

 

Napoli, così, non l’avevamo vista mai. Una città borghese, inospitale e caotica, cupa e distratta, dove ognuno sembra preso dai propri affari e pronto a defilarsi. È esattamente questo che permette a un killer freddo e metodico di agire indisturbato, di mischiarsi alla folla come fosse invisibile. “Il Coccodrillo” lo chiamano i giornali: perché, come il coccodrillo quando divora i propri figli, piange. E del resto, come il coccodrillo, è una perfetta macchina di morte: si apposta, osserva, aspetta. E quando la preda è a tiro, colpisce. Tre giovani, di età e provenienza sociale diverse, vengono trovati morti in tre differenti quartieri, freddati dal colpo di un’unica pistola. L’ispettore Giuseppe Lojacono è l’unico che non si ferma alle apparenze, sorretto dal suo fiuto e dalla sua stessa storia triste. È appena stato trasferito a Napoli dalla Sicilia. Un collaboratore di giustizia lo ha accusato di passare informazioni alla mafia e lui, stimato segugio della squadra mobile di Agrigento, ha perso tutto, a cominciare dall’affetto della moglie e della figlia. È il giovane sostituto procuratore incaricato delle indagini, la bella e scontrosa Laura Piras, a decidere di dargli un’occasione, colpita dal suo spirito di osservazione. E così Lojacono, a dispetto di gerarchie e punizioni, l’aiuterà a trovare il collegamento, apparentemente inesistente, tra i delitti. A scorgere il filo rosso che conduce a un dolore bruciante, a una colpa non redimibile, a un amore assoluto e struggente.

UN LIBRO, UN FILM, UNA MUSICA E UN QUADRO

Quando ho tempo, e succede troppo di rado, mi piace immaginare di scrivere un libro.  Mi immagino la trama, mi sforzo di trovare frasi pregne di significato, mi immedesimo in situazioni avventurose, magari pericolose o semplicemente diverse dalla quotidianità. Mentre cammino per strada, mentre faccio pulizia in casa, mentre sistemo le foto, questi sono i momenti ideali dove la mia mente è in grado di partorire il massimo. Mi vengono benissimo le frasi piene di retorica, quelle che piacciono tanto, quelle che fanno credere alle persone di essere intellettuali.  Peccato che il più delle volte non me le scrivo, così

me le dimentico esattamente nello stesso istante in cui le ho pensate.

Poi quando mi metto a scrivere, scrivo tutt’altro. Penso alla vita, al mondo, al lavoro, e allora le frasi da “bacio perugina” vanno letteralmente bruciate dalla razionalità. E’ ovvio che pensare all’articolo 18, all’inflazione che in cinque mesi è aumentata di quasi 4 punti, alla disoccupazione che è arrivata al 10% e interessa un giovane su quattro, non può farti pensare  “Il bacio è una promessa scritta dalle labbra” ma piuttosto un “sono stanca delle tue promesse voglio certezze” che, come frase,  è anche più carina.

Però è anche vero che scrivere senza un vero scopo, aiuta a pensare ad altro, come il leggere un bel romanzo aiuta a fantasticare. C’è un libro che ho letto otto volte. Otto, giuro. Nessun altro libro ho mai riletto. Quello l’ho letto otto volte. Non perché sia stupida e non l’ho capito. Perché mi coinvolge, mi diverte, mi commuove, mi fa sognare, mi fa pensare, mi fa immaginare e mi emoziona. Mi chiedo perché la gente non legga più. Mi chiedo perché si privi di queste emozioni, di queste sensazioni che nessun film al mondo riuscirebbe a dare.

L’altro giorno ho incontrato una collega, mia amica, geometra. Mi ha fatto un sacco di complimenti (immeritati) per l’articolo che “prospettive geometri” aveva pubblicato e mi ha chiesto se qualche altro collega mi avesse contattato anche solo per dirmi che il mio articolo faceva schifo. “No” le ho detto, “nessuno”.  E come mai? “Perché non legge più nessuno”. Anche solo un articolo è diventato “pesante”. Meglio ascoltare anzi guardare il telegiornale (locale), meglio farsi raccontare le cose da qualcuno. E così succede che, parlando di un libro, ti senti rispondere con un certo orgoglio “ho visto il film” . Ma perché me lo dici  senza quel pudore di chi sa di aver fatto una cosa a metà, senza quella consapevolezza di aver scelto la scorciatoia?  Anche a me è capitato di aver visto film tratti da romanzi senza aver mai letto il testo scritto, ma non lo pongo come un vanto ma come una scelta spesso obbligata. Certo mica possiamo leggere tutti i libri usciti, magari ci riuscissi! Però possiamo decidere di tornare ad interessarci, possiamo convincerci che la curiosità non è femmina, ma una naturale caratteristica umana che ci aiuta a capire, conoscere e crescere.

Qualche tempo fa sono andata al cinema a vedere un film tratto da un famoso romanzo di un giovane scrittore,  talmente pubblicizzato che era praticamente impossibile evitare. Un film tratto da un libro, non è mai il libro. La bravura del regista sta nella capacità di spremere il libro e ricavarne il puro succo. Un’operazione difficilissima che riesce solo  a chi ha puro talento. E quelli che hanno questo talento sono davvero pochissimi. Il film di cui parlo era davvero bello, ben confezionato, ben interpretato, ben diretto. Bella la fotografia, bravi gli attori, grandissimo il regista. Si esce dal cinema davvero soddisfatti, appagati. Ma non del tutto. Un gran film che è riuscito così bene non può non farti incuriosire. Se è così buono il succo (il film) chissà quanto buona sarà anche la sua  polpa, e anche la sua buccia. E allora non puoi non leggere il libro. Dopo aver visto il film, leggere il libro, dal quale è stato spremuto, aumenta quel piacere che il film ti ha dato, ti regala aspetti maggiori, particolari volutamente trascurati ma che contribuiscono a rendere l’insieme ancora più piacevole e interessante.

Fare il contrario però non è la stessa cosa. Leggere il libro e poi andare al cinema può solo portare a delusione. Perché, ripeto, il frutto non è solo il succo e se hai mangiato il frutto e ti è piaciuto tutto, berne solo il succo può lasciare una certa insoddisfazione, un senso di incompletezza.

Dal  libro che ho letto otto volte hanno tratto un film che non è mai circolato in Italia, non so perché. Mi sarebbe davvero piaciuto moltissimo vederlo. Sicuramente non sarà stata un’impresa facile farne un film. Soriano infila nei suoi libri decine di personaggi, decine di situazioni che a pensarci mi riesce difficile immaginarlo rappresentato in un film. Il film te lo fai da sola, nella testa, mentre leggi di spazi, personaggi, situazioni e sentimenti vari che decifri solo attraverso le tue lunghezze, seguendo le tue emozioni e capendo quello che il tuo carattere e la tua cultura ti fanno capire. Straordinario libro, ma non per tutti.

“Non m’era mai capitato di restare senza un soldo in tasca. Non potevo comprare niente e non avevo più niente da vendere. Finché ero in treno mi piaceva rimirare il tramonto sulla pianura, ma adesso mi lasciava indifferente e faceva tanto caldo che aspettavo con ansia il calare della sera per stendermi a dormire sotto un ponte. Prima che facesse buio mi ero messo a guardare una cartina perché non avevo idea di dove fossi. Era stato un giro assurdo, avanti e indietro, e adesso mi trovavo al punto di partenza o in un posto identico. Un camionista mi aveva dato uno strappo fino al rondò e diceva che avrei trovato uno Shell a tre o quattro chilometri da lì ma tutto ciò che ero riuscito a vedere era un ruscello che passava sotto un ponte e un sentiero di terra che si perdeva all’orizzonte. Due contadini a cavallo seguiti da un cane zozzo pungolavano del bestiame e questa era l’unica cosa in movimento nel paesaggio.»

Così inizia il libro che ho letto otto volte. Appena mi rimetterò in treno per andare a Napoli lo riprenderò in mano. E così saranno nove volte. “Serenella vuole entrare nei guinnes dei primati?” “No, è scema.” “No è solo strana.” Invece no. Come tutte le cose che amo, le curo. In questo libro ogni volta che lo leggo ci trovo qualcosa di diverso. Beh, c’è gente che legge la bibbia tutti i giorni. Potrò leggermi Soriano una volta all’anno?

Quanti hanno guardato due volte lo stesso film? Tantissimi. Ho visto “la finestra sul cortile” di  Hitchkock non so quante volte. Eppure se lo ridanno in tv, me lo riguardo. Conoscere il finale di un film giallo è come vedere una partita di calcio sapendo già il risultato. Eppure quel film è talmente ben fatto che sapere chi è l’assassino diventa ininfluente. I chiaroscuri, le luci concentrate sugli appartamenti dei vicini che fanno scoprire la loro vita, le loro abitudini, le loro miserie, quell’individuo dirimpettaio ambiguo, oscuro, che si muove guardingo, tutto in quel film intriga, sospende, impaurisce, coinvolge.

Avete presente un quadro del Caravaggio? No? Allora andate a Roma e cercatene uno, ce ne sono parecchi, ad esempio nella chiesa di San Luigi dei Francesi sono conservati tre capolavori come “Il Martirio di San Matteo”, “San Matteo e l’angelo”, “La Vocazione di San Matteo” oppure andate a Napoli e correte al Pio Monte della Misericordia ad ammirare “le Sette opere di Misericordia”: Guardateli in silenzio, osservateli e fatevi rapire. Capolavori così non possono lasciare indifferenti. Li potreste rivedere mille volte e mille volte sarete emozionati in modo diverso.

Come ascoltare il Requiem di Mozart, ad occhi chiusi. Il cuore si stringe, poi comincia a battere forte, poi si richiude in una morsa, poi risale aprendosi e di nuovo si rimpicciolisce in se stesso e  l’emozione è talmente forte da ricordare il dolore, un dolore emozionale, come è la morte. E’ incredibile.

Le emozioni ci vengono  trasmesse dai nostri sensi e siamo noi che li governiamo, noi con la nostra capacità di ascoltare, sentire, amare e odiare. Per questo non dovremmo mai smettere di leggere, mai smettere di ascoltare, mai smettere di essere curiosi e mai smettere di voler conoscere e sapere. Solo così saremo persone vive.

Leggere quel libro, ascoltare Mozart, guardare quel film, ammirare Caravaggio è per tutti. Ma non di tutti.

Un po’ come Napoli, come il mare, come la pianura, come la montagna, come il lago, come il fiume  o come la collina. Io amo i primi tre. Qualcuno odia i primi tre.

Serenella Margotti

DELIRIO TRICOLORE

Bolzano città chiusa. Così sta scritto sui cartelli prima di entrare in città. Sono posizionati ovunque, da qualsiasi parte si arrivi. Città chiusa. Arrivano gli alpini. Oddio non è che la cosa mi entusiasmi, tutt’altro. Ma se avessi il tempo si osservare dal punto di vista sociologico quello che accade in queste occasioni e in particolare cosa accade ad una città come la mia, sarebbe davvero interessante. Intanto però mi limito ad osservare quello che non si può non osservare. Le bandiere. Mi chiedo dove certa gente tenesse quelle bandiere. Enormi, lenzuoli tricolori chilometrici che coprono mezze facciate di palazzi! E la quantità di bandiere!  Su un balcone ne ho contate più di venti!!! ma mi chiedo dove cazzo le tiene in casa! Avrà un armadio apposta! La città è un’ enorme tricolore sventolante. Cosa che mi irrita e nemmeno poco. Perchè a Bolzano questa italianità ostentata con tanto clamore, altro non è che arroganza. Magari non per tutti, magari non per quello che è abituato da sempre a esporre quella bandiera, attaccandola al parapetto del balcone, ogni anno alla festa della repubblica. Ma quelli che ne hanno appese sei, sette, dieci…perchè? per gli alpini? gli alpini sono un pretesto. Cammini per la città e noti veramente tanto la differenza tra una strada e l’altra. Lungo la strada dove abito io le bandiere sventolati sui balconi saranno al massimo una decina in tutto. La casa di fronte alla farmacia di via Palermo ne avrà , solo lei, più di cinquanta. E poi vedi condomini di otto/nove piani senza nemmeno una bandiera e altri dove il colore della facciata stenti a vederlo.

Comunque arrivano, e prima di arrivare, la città è stata sequestrata. Ogni piazza ha le sue tende giganti, tipo quelle da campo, per ospitare panche, tavoloni, cibo e vino. Le piste ciclabili sono chiuse, le aiuole sono diventate prati da pic nic, addirittura le rotonde spartitraffico sono usate come piazzola del campeggio. Gli autobus hanno cambiato itinerario e da venerdì nessuno circolerà più se non a piedi o in bici. Tutto è diventato tricolore. Perfino i negozi di abbigliamento hanno cambiato le vetrine esponendo abiti maglie mutande nei tre colori della bandiera. Una vera ossessione. Il logo partorito per l’occasione appare su ogni cosa, sui gadget bruttissimi, sulle magliette, sulle felpe, sullo speck, sulla birra…..e sul vino locale che da poco più di 4 auro la bottiglia è arrivato a costarne più di sette per via di quel logo. Un business da spavento. Ogni negoziante si è inventato il prodotto tricolore con quello che ha, probabilmente c’è pure il pane tricolore, forse si rischia di uscire con la testa tricolore dalla parrucchiera.Una pasticceria espone solo pastine nei tre colori, lo stesso ha fatto il salumiere vicino nella sua vetrina…insomma c’è da preoccuparsi.

In corso Libertà c’è un negozio che vende abbigliamento per bambino. Molto esclusivo, certo. Ma una tutina di cotone bianco, per un bambino di forse tre mesi, non di più, semplice, lineare, senza ricami o pizzi, sobria,  pure carina direi, anche se  bianco è parecchio azzardato per un neonato, alla quale hanno attaccato un piccolo fiocchetto tricolore all’altezza del cuore, che costa 180 euro, se non un delirio, come lo chiamereste???

E poi ricordo quando da piccolina anche nella mia famiglia in un certo giorno dell’anno si apriva il mobiletto in soggiorno e si tirava fuori la bandiera italiana e mia mamma l’attaccava alla ringhiera del balcone su via Roma. E tutti vicini sorridevamo e salutavamo il signore (che mi pareva tanto anziano ma avrà avuto si e no sessant’anni) che allora abitava nell’appartamento dall’altra parte della strada, con il balcone di fronte al nostro, mentre anche lui appendeva alla ringhiera la bandiera italiana ed un grande fiocco rosso. Quel signore che morì pochi anni dopo di malattia, era un comandante partigiano della brigata Garibaldi  Piemonte. Quel certo giorno era il 25 aprile. Ma è un’altra storia, questa e la mia.

DIARIO DI UNA LIBRAIA : fase ultima

E finalmente, dopo corse, fatiche, tensioni, intoppi e ricorse, è arrivato il 14 aprile, il grande giorno. La libreria pronta, alla sera eravamo stati fino tardi a preparare tutte le vetrine e i libri negli scaffali. Eravamo stanche, ma nemmeno troppo. Alla mattina presto ci siamo messe a preparare il buffet. A casa Barbara preparava sandwich a volontà, divisi tra vegetariani (senza la carne), mussulmani (senza il maiale) e onnivori (sandwich con tutto). Il vino era già pronto, i frigo della libreria e quello della vicina sede di Rifo erano pieni di bottiglie di prosecco. Sempre loro ci hanno permesso di usare  i loro tavoli, posate, i piatti, i vassoi e lo spazio per preparare la parte del buffet che doveva fare poca strada. Alle dieci già c’era gente anche se l’inaugurazione era dalle 11.30 in poi…Poi sono arrivati tutti, o quasi tutti, amici e conoscenti. Un via vai continuo di persone fino alle otto di sera! Una festa, come un matrimonio, come anniversario importante! tanta gente non l’abbiamo nemmeno vista se non dopo guardando le foto! 

Barbara non è praticamente uscita mai da dietro il banco, io non ho smesso mai di portare fuori cibo e bottiglie! Una bella festa, grande entusiasmo, grande sostegno da parte di tutti ed è stato veramente bello vedere come tutti stavano bene. Tanti complimenti non li sentivo dai tempi della cena natalizia che avevo preparato da sola per 17 persone, ma anche quell’occasione era stata un caso! La libreria si è svuotata! Alla sera molti scaffali erano vuoti e noi eravamo emozionate e contente! 

Ad un certo punto sono arrivati anche i nostri alunni cinesi, ABao, Sun, Zhong, FeiFei, Zheng, Hi e  Sisi , che seguiamo presso la scuola gratuita di italiano per stranieri “Scioglilingua”. Sono arrivati tutti con una bella bottiglia di vino, chi teroldego, chi prosecco. Gentilissimi e davvero affettuosi!  Adesso che voglio raccontare cose è successo in quelle dieci ore, non so farlo! Mi ricordo solo fiori, baci e abbracci, pacche sulle spalle, grandi sorrisi, tante persone, tanti amici, tanto vino!

Sono venuti a farci visita anche assessori e segretari sindacali, segretari di partito e tanta gente del quartiere! Bello! tutto bello! Alla fine ci siamo finalmente sedute sulle nostre poltroncine profondamente soddisfatte!

DIARIO DI UNA FUTURA LIBRAIA parte quarta: finalmente la costruzione

Arriva il momento dell’acquisto dei mobili. Si prendono le Billy, sicuramente. Il resto lo vediamo sul posto, quando andremo all’Ikea a vedere.

Arredare una intera libreria non è arredare la propria camera, quello è certo. Abbiamo perso giorni a guardare il catalogo online, dopo aver disegnato ogni particolare in pianta. Dunque si trattava di preparare una bella lista. ordinata e precisa, che comprendesse codice prodotto, nome dell’articolo, il numero dei pezzi, il costo unitario, il costo finale e per finire, la sua posizione all’interno del negozio. Avendo optato per l’Ikea di Padova, ci siamo cercate la posizione esatta della merce all’interno di quel negozio. Per chi non sa come funziona l’Ikea, spiego la filosofia. Ogni negozio Ikea è concepito in questo modo: ingresso all’area espositiva, percorso obbligato attraverso ambienti costruiti per dare una precisa idea su come utilizzare la loro merce. Perciò camere da letto, soggiorni, cucine, completamente allestite come fosserogià inserite nelle case. Poi  la zona del “mercato” ovvero la zona dove si acquistano tutti gli oggetti visti nell’area espositiva, tutti gli oggetti, mentre i mobili sono collocati nella zona chiamiamola di prelievo, che sta sempre prima delle casse. Nella zona espositiva tutti i mobili hanno il cartellino con indicato la corsia e lo scaffale dove poi dovrai andare a  prelevarlo. Ecco, noi avevavo fatto anche quello, scritto accanto ad ogni mobile, la sua collocazione nella zona “prelievo”.

Consultato bene le opzioni, le soluzioni e i costi di ordine e spedizione, ci siamo recate all’Ikea Padova solo per verificare che tutto fosse a disposizione e consegnare la nostra bella lista e concordare la consegna. Sul sito si parlavano di tempi inferiori alla settimana, ma con immenso stupore ci sentimao comunicare che prima di 4 settimane non avrebbero consegnato uno spillo. I tempi nostri erano ormai tirati all’osso. E la nostra pazienza non più così tanto a disposizione. Quindi ci arrabbiamo . “vi diamo la lista fatta, la posizione in magazzino, che ci vuole a caricare un furgone e portarcelo?” niente da fare. Ci spostiamo per parlare tra di noi. Non si può fare altro che prendere un furgone a noleggio, un furgone maxi perchè il peso che trasportiamo è superiore ai 13 quintali…Torniamo dall’impegato e chiediamo almeno di prepararci la roba che dopo tre giorni che la saremmo portata via. Si può fare, ma vogliono due settimane. Sgomento. Due settimane per preparare questa roba??? Capito. Dobbiamo venire noi.

Arrabbiatissime già da prima, perchè prima una impiegata scortese e cafona (stronza) di fronte alla nostra richiesta per una lampada che avevamo in elenco ma non trovavamo, ci aveva risposto che non era più in produzione e che il codice che avevamo scritto era scomparso da anni. “Ma veramente questa lista l’abbiamo fatta consultando il catalogo online”….(con aria infastidita e tono dispregiativo)”quanti anni fa, signora?” “stronza, ieri lo abbiamo consultato”. Questo uno dei tanti episodi di cafoneria all’interno dell’Ikea Padova. L’impiegata del settore luci che se le chiedevi qualcosa sbuffava insofferente e personale che non si fermava nemmeno quando lo chiamavi, maleducazione e bagni sporchi, questo posso dire dell’Ikea Padova. Comunque, visto che a Padova andavamo anche per prendere le altre cose, dopo pochi giorni siamo tornate a prendere i mobili all’Ikea. Una faticaccia da matti! Entrate alle undici, uscite alle diciassette, con i carrelli che vedete nelle foto, 12 in tutto.

Aperta una cassa solo per noi, sotto sguardi sbalorditi, qualche sguardo solidale, qualche sorriso tipo “che culo che non è capitato a me”. Poi caricare il furgone, bene, senza sbilanciamenti, senza equilibri, Arrivate davanti alla libreria alle undici di sera, con Valentino e Daniele pronti ad aiutarci a scaricare la montagna di scatoloni. Per fortuna perchè noi eravamo morte stanche stecchite. Ma la mattina dopo eravamo già lì a montare…il 27 marzo alle ore 11 la prima billy era montata e posizionata!

Giorno dopo giorno la libreria cresceva, un pezzo in più, un particolare in più. Restava sospeso un doppio problema Ikea: una gamba del tavolo norden crepata e una poltroncina nils mancante. La poltroncina Nils resterà nella storia della libreria librarsi, credo che anche tra mille anni non sapremo liberarcene.

La Nils era una delle due poltroncine che sarebbero state posizionate per creare un “angolino” lettura relax. Non è che la Nils fosse stata nelle nostre intenzioni fin da subito. No, fu semplicemente un ripiego. A Napoli, tanto per essere originali, eravamo state all’Ikea a farci un giro. Eravamo lì anche per comprare materiali per la libreria, cosa che abbiamo fatto, ma l’idea di poter fare un giro all’ikea per iniziare a pensare ai mobili per la libreria fu automatica. Proprio lì abbiamo incontrato la poltrona che sognavamo. Bellissima, colorata di rosso nero  e bianco, forma anni 50 spiaggia di lusso, forma rotonda, materiale tubino di gomma. Bella, amore a prima vista. Segnamo il suo nome per poterlo inserire nel nostro preventivo per la provincia e per trovarla poi sul catalogo una vota arrivato il momento di prenderla. Ma poi il cuore fu spezzato dalla notizia che quella bellissima seduta, altro non era che una di quelle cose che l’Ikea fa in occasione di qualche evento straordinario, un pò come le billy a fumetti o ricoperte di scritte…delusione! Allora all’Ikea di padova, provate tutte le altre poltroncine presenti, decidemmo di prendere le nils. Prima di partire nuovamente per padova, come ovviamente si fa, controlliamo il catalogo online per verificare la quantità di nils a disposizione del negozio. Tutto bene, alta disponibilità. Ma poi invece ce n’era una sola. Nei giorni successivi, sempre tenendo sotto controllo il negozio ikea di padova, veniamo a sapere che il giovedì le nils sarebbero tornate all’ikea. Allora avvisiamo qualcuno che possa andare a prendercene una per noi, in modo da essere sicure che non ci scappi nuovamente. Ma poi il giovedì non arriva. Forse sabato…ma non arriva. Passa un’altra settimana. Niente nils al negozio. Come facciamo? facciamo che quando andremo a Sant’Arcangelo a ordinare i libri passiamo all’Ikea Rimini e vediamo se la troviamo. E così finalmente, la poltroncina Nils trova posto accanto all’altra Nils che l’aspettava da ben 11 giorni!

Nota: all’Ikea di Rimini tutti molto cordiali e disponibili. Bravi!

Siamo arrivati al 7 aprile, domani pranzi famigliari, ma poi di nuovo in libreria. C’è da finire di prezzare i libri e da preparare l’inaugurazione, volantini e annunci online oltre alle mail a tutti gli amici, vicine e lontani!

DIARIO DI UNA FUTURA LIBRAIA parte terza: le spese

Si apre un nuovo negozio, una bella, luminosa, accogliente libreria.  Già ce la vediamo pronta. Abbiamo disegnato tante di quelle volte l’arredamento che ormai è come fosse fatta, pronta da aprire. La provincia, attraverso il fondo europeo, ci finanzia l’allestimento per quasi un trenta per cento a fondo perduto. Mobili, luci, attrezzature. Preventivi per tutto. I mobili saranno Ikea, le billy riempiranno le pareti e le vetrine, tavoli e billy per la zona ufficio, tavoli sedie e poltrone per la zona clienti. Tutto bianco, rosso e un pochino di nero. Il logo,quel  bellissimo, originale e visibilissimo logo, ce lo ha regalato un amico, grande artista, architetto, designer, musicista e uomo. L’attrezzatura informatica ce la fornirà il nostro tecnico preferito, quello che da anni mi prepara i computer e che mi assiste per ogni problema. Resta da pensare alla cassa, alle luci, alle insegne, allo scanner per diapositive e pellicole, alla calcolatrice al distruggi documenti.

IL REGISTRATORE DI CASSA. Ci piaceva l’Olivetti, il Nettuna 250. Cassa semplice, completa compatta e pratica. A Napoli l’avevamo vista e toccata e ci era piaciuta. Il prezzo, detto dal concessionario di via sant’Anna dei Lombardi, era intorno ai 460 euro. Rispetto alle casse di altre marche viste gironzolando per la nostra città a parità di prestazioni era molto meno cara . Chiediamo i preventivi in due città vicino alla nostra perchè da noi l’Olivetti non c’è più da anni. Il preventivo che arriva dalla città a 30 km da noi dice 590 euro, il preventivo che arriva dalla città a 50 km da noi dice, dopo un giro pazzesco tra prezzo iniziale e sconto, 790 euro. Allibite ci rivolgiamo ad un concessionario nel Veneto. Arriva il preventivo: 430 euro. Premesso che trattasi tutti di concessionari Olivetti e che la macchina era per tutti la Nettuna 250, resta il mistero di come quattro concessionari possano applicare prezzi, per la stessa macchina, così incredibilmente diversi. Napoli e Padova molto simili, quindi accettabili, ma gli altri due?

LE INSEGNE. Scartata da subito l’ipotesi di un’insegna esterna sopra le vetrine, per via del porticato che la renderebbe invisibile, si pensa a due insegne tonde come il logo, sostenute da cordini d’acciaio in mezzo alle due vetrine principali. Quei bei pannelli in plexi retroilluminati. Conosciamo una ditta che fa insegne, cartelli, pubblicità, stand ecc.  I proprietari li conosciamo da molti anni, siamo tutti coetanei quindi inevitabile conoscenza. Portiamo con noi il logo per farlo vedere e farci fare un preventivo. Parlando ci spiega che la scelta dei pannelli retroilluminati è proprio quella giusta per quel logo ma che in alternativa, nel caso ci sembrasse troppo cara quella soluzione, si potrebbe optare per i pannelli in forex. E poi c’è da decidere la grandezza: 60-70 o 80 cm di diametro? A occhio non saprei….ma non c’è problema! Ci assicurano che prepareranno dei dischi dei vari diametri per farci fare una prova sul posto. Così prima di decidere, aspettiamo i dischi di prova e i preventivi. Aspettiamo. Passano i giorni e non riceviamo nulla. Torniamo alla carica e dopo mille scuse ci assicurano che da lì a poche ore avremmo ricevuto il nostro preventivo e i nostri dischi prova. Gli ricordiamo che è un preventivo da presentare in provincia, quindi un preventivo deve presentare la soluzione in pannelli retroilluminati e un altro la soluzione con i pannelli in forex, perchè ovviamente, ne presenteremo uno solo dei due. E aspettiamo ancora. Passano altri giorni e prima che mi incazzassi di nuovo, arriva il preventivo. Uno unico, con dentro tutto. I pannelli retroilluminati a 890 euro l’uno, i pannelli in forex  da 8 mm stampati su un solo lato a 120 euro l’uno. Porca zozza! ma sono carissimi!  Riscrivo una mail ricordando i dischi prova e la necessità di avere due preventivi diversi, uno per ogni soluzione. Nel frattempo guardiamo in giro sul web. Troviamo altre ditte che fanno lo stesso mestiere delle insegne e cartelli, ma nessuna con prezzi alti come quelli che ci hanno proposto. Ad essere sinceri i prezzi che abbiamo trovato erano tutti molto più bassi. Allora ci facciamo fare altri preventivi da ditte fuori provincia me comunque vicini. Il preventivo che  alla fine abbiamo scelto, non è il più basso ma quello che si trova in una zona vicina e  facilmente raggiungibile in treno. Prezzo del pannello tondo in forex da 10 mm stampato con il nostro logo su i due lati, 75 euro. E intanto sono passati altri 4 giorni da quel ” da qui a poche ore avrai i preventivi e i dischi prova”…

IL TIMBRO MULTICOLOR che bello! si può fare un timbro a più colori con il nostro logo! Una breve ricerca sul web e troviamo il negozio che anche nella nostra città ci farà il timbro multicolor, Prendiamo l’autobus, prima il 3 e poi l’11 e arriviamo in zona artigianale. Portiamo con noi il nostro logo e lo mostriamo all’addetta…perplessità….non si sa se si riesce…sono solo due colori, faccio presente. Ma pare che sia difficile. “Adesso facciamo delle prove, poi le mandiamo una mail per farle vedere e così poi decide”. Benissimo. Lasciamo la mail e andiamo via. Sono passati dieci giorni, dieci, ma nessuno ci ha scritto o chiamato. Allora lo facciamo noi. “Buongiono, siamo quelle del logo della libreria”…”ah si certo, guardi che non si può fare come dite voi. Il cerchietto, quello nero, si può fare bianco, e il libro rosso…no, non viene bene, lo possiamo fare bianco.” Ok, ma allora dove sta il multicolor??? il nero no, il rosso no, resta il bianco cioè il nulla. Dieci giorni per dircelo? e dicelo solo perchè abbiamo chiamato noi…Beh attacchiamo il telefono dicendo “grazie, fa niente” seguito da un vaffanculo a cornetta attaccata.

DIARIO DI UNA FUTURA LIBRAIA parte seconda: la preparazione

E invece, come per miracolo, i lavori iniziano a metà febbraio. Ogni giorno andiamo a sbirciare attraverso la carta strappata sulla vetrina, a che punto sono. Non c’è molto da fare, in effetti. A fine febbraio è tutto fatto. Manca solo la consegna dell’immobile da parte dell’ufficio manutenzione all’ufficio contratti. Un chilometro e mezzo di strada che pare siamo mille. La consegna non avviene nemmeno dopo che il contratto è stato firmato e sottoscritto. Pare ci siano problemi. Il precedente inquilino non si è preoccupato di chiudere l’utenza elettrica. Beh, dico, ma ve ne siete accorti solo ora? L’elettricista che ha rifatto l’impianto come minimo se ne sarà accorto, no? E questo è il primo dei misteri. Il mistero elettrico. Intanto però procediamo con la produzione di incartamenti per i vari uffici. La provincia (la comunità europea) ufficio innovazione ecc, che eroga un contributo a fondo perduto per l’imprenditoria femminile, vuole una serie di documenti e domande. La provincia ufficio commercio, che invece da un mutuo agevolatissimo per la creazione di un fondo di liquidità, vuole a sua volta altri documenti e domande. Nella lista dei documenti da produrre c’è scritto “banca e Iban”. Nella lista dei documenti che la banca chiede per aprire il conto per la libreria e di conseguenza anche il prefinanziamento in attesa del mutuo provinciale, ci chiede “domanda per il fondo di liquidità protocollata”. Altro mistero: come faccio a dare alla provincia l’iban se la banca mi da l’iban dopo che ho fatto la domanda in provincia? Si va per chiarire e dopo una breve discussione amichevole, la banca ci da il benedetto Iban.  Dopo c’è la camera di commercio da sistemare. Il commercialista, che ha già aperto la partita iva  per permettere di fare acquisti, presenta domanda di iscrizione della ditta individuale come inattiva, per poi attivarla al momento dell’apertura del negozio. Domanda respinta. Prima motivazione: una ditta individuale non può essere iscritta come inattiva. Mi pare impossibile proprio perchè nella domanda per la provincia c’è da specificare se la ditta è o meno attiva. Metto su google “ditta individuale inattiva” e come primo risultato mi esce la circolare del ministero del 24 marzo 2011 dove proprio si specifica che anche le ditte individuali possono essere iscritte come inattive. La circolare è indirizzata a tutte le camere di commercio d’Italia. E già ti girano le scatole. Come hanno fatto a non recepire una simile direttiva? La mando al commercialista il quale mi assicura di saperlo, ma è la Camera di commercio a non saperlo. Si manda comunicazione alla suddetta Camera. Consci della cazzata fatta ma non del tutto pentiti, rispondono che si, si può fare, ma la partita Iva non doveva esserci già. Per non entrare in polemica e spaccare la faccia a qualcuno, chiudiamo la vecchia partita iva (con enorme disagio da affrontare in quanto già acquistato merci varie con fattura) e apriamo la nuova partita iva congiuntamente alla domanda di iscrizione alla camera di commercio. Il commercialista, che non è certo idiota, ci mostra che nella domanda di iscrizione alla camera di commercio per la ditta individuale come inattiva, chiede “partita iva: nuova – esistente” . Adesso sappiamo che anche lì la competenza e la preparazione è un optional non previsto. Ok, mettiamoci una pietra sopra. Abbiamo cancellato la partita iva e, con una bella nuova, rifatto domanda. Passa un paio di giorni e finalmente arriva la nuova iscrizione ! DITTA INDIVIDUALE INATTIVA < ecc ecc  indirizzo ecc ecc partita iva….mi cade l’occhio. NO! non può essere! Hanno immesso la vecchia partita iva!!!! Sconcerto, sgomento, bile agli occhi….non è mica possibile. Questi ci mettono nei casini , ci rifanno fare tutto, e poi….? Comunque portiamo le domande in provincia, spieghiamo la cosa, e lasciamo sospesa la consegna dell’iscrizione alla camera di commercio. In provincia l’impiegata davvero molto gentile e competente, capisce il dramma e accetta la domanda. Ci spostiamo al piano sopra, altra domanda, questa volta l’impiegata, sempre molto gentile, pare non sappia un granchè delle cose che le stiamo portando. Ci chiede almeno due volte se era al suo ufficio che dovevamo inoltrare la domanda o all’ufficio innovazione….la volta precedente l’impiegata dell’ufficio innovazione  ci aveva accompagnato da lei spiegando che la domanda per il fondo liquidità era trattata dal settore commercio e non innovazione. Usciamo dal palazzo leggere, senza carte e domande. Tutto consegnato e accettato. E’ l’8 marzo, giornata della donna.